Trovo incredibile come Enzo Lomanno, rallenti il tempo nel racconto di un ricordo; di come, grani di un rosario, quel tempo lo manipoli secondo il sentimento, nell’attimo che precede e segue l’attimo stesso, divenendo immagine di qualcosa che fu. L’ombra non può descrivere uno splendore, ma l‘amore si! E può farlo anche al buio senza il minimo timore di confondersi.
Morire, descrivere, ribadire, distorcere… parla all’infinito Lomanno e con l’amarezza di chi ha perso qualcosa di irrecuperabile; niente imperfetto che sosterrebbe una eventualità, anche singolare. Ma sa bene, il poeta che nulla possiamo di fronte all’enigma della morte che, anche se fosse una diversa forma di “vita”, è troppo distante e parallela a noi.
Questa poesia ha un sapore di eterno, viene da tanto lontano, da dove la voce non arriverebbe e solo il cuore può dare risposte. Amo i suoni di questa parola “pronunciata”, dicono dell’anima cosmica, quella esterna, non più intima bensì universale.
Enzo Lomanno è poeta universale, perché ha lasciato la sua anima libera d’andare.
Come può
Come può una luce bianca morire
Lasciare l’ombra a descrivere
splendore del fu medesimo
Eppure decliniamo il capo, consenzienti
Intagliandoci l’un l’altro tempo e grazia.
Raffreddandoci nove con la rabbia di una sola mano
Granitici e crudeli, questo siamo.
Ad impalcare orpelli e a presentare conto al cosmo
Come a ribadire del perfetto la sua imperfezione
ed a distorcere violenza dal solo fiato divino
che sa di noi e sa come unirci.
Non rinnego l’attimo che costringe
né il vuoto dello spazio che ora colgo
E lascio passare sabbia sopra ginecei antichi
sulle caviglie distratte e sul dolce sorriso
Come grani di tempo essi
non ledono e non dimenticano
battono ritmo che disgela
ed ancora lasciano trepido
il sapore di te
mia più grande
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