La
Flau, la Flau, per Gisella, è la componente libera della sua essenza, è la sua
libertà poetica assoluta che separa e unisce continuamente gli opposti
mantenendo così un equilibrio creativo all’interno di quel baricentro poetico,
non del tutto stabile, ma che le permette, paradossalmente, una grande
stabilità.
Conosco
Gisella Torrisi da diversi anni, ma solo quando mi presentò Ella Flaubert (La
Flau) riuscii a completare il quadro. Con lei e attraverso lei, la Torrisi, può
percorrere ogni sentiero poetico senza il timore di diluirsi e disperdersi
nelle logiche, spesso troppo “centriche” della poesia. La Flau salta da un
chiaro discorso molto popolare al “no sense”, che ricorda l’aristocratica poesia degli anni
60/80 senza alcuna remora né la paura di scontrarsi con un epoca poetica che
cambiava interamente il concetto di poesia e volersi confrontare con i mostri
sacri di quella componente
ermetico/surreale della “beat
generation”, diventa per lei un’esigenza che la porterà, infine, a formarsi
“poeta” senza alcun riserbo.
Fino
a qualche tempo fa, erano ancora due distinte personalità poetiche, man mano,
però, è avvenuta una sorta di fusione che, al momento, culmina con “Oniria” un
lavoro teatrale, che passa da un “normale” quotidiano, alla metafisica che
rasenta l’assurdo come nel teatro di Jonescu.
Gisella
Torrisi, con questo testo conclude il suo periodo, direi, di formazione
artistica ad un livello che non si può assolutamente considerare ”giovanile”
ma, sorprendentemente maturo, tanto da poter accedere a quella che si può
definire “alta poesia” ma più che poesia la definirei “parola”.
Il
mio non è un discorso di parte o di convenevole ma, senza voler sembrare
presuntuoso, ho letto così tanto in quarant’anni che mi occupo di scrittura,
che riesco a capire già dai primi tre versi, se quella che ho davanti è anima o
solamente mano che costruisce anime.
Dopo
l’esordio poetico con “Dialogo assente”,
per Algra Edizioni, eccola con “dei segreti non parla nessuno”, per i
tipi di Perrone Editore, in uscita nei prossimi giorni.
In
questa pagina, però, voglio proporre qualcos’altro, una scrittura che mi ha da
sempre affascinato dove la nostra Gisella esprime la sua grande capacità rappresentativa
di una cultura che non è sua, ma che vive attraverso gli altri cogliendone gli
aspetti drammatici, ma anche quelli bizzarri e grotteschi, nonché tutta la sua
sicilianità, e lo fa col linguaggio della strada, quello tipico di chi, pur avendo consapevolezza dei propri limiti, con ostentata arroganza, non si cura d'essere compreso. Il linguaggio rappresentativo di una cultura che ammette solo la propria e che non è certo quello dei
colti “signori” che appare ma molto spesso non è: “Giulia”.
Giulia
cosa debbo confessarle signor giudice? mi chiamo Giulia e di
cognome: non ho più un padre e mantengo sei galline e qualche uovo lo regalo
alla vicina, che lei è tedesca e non sa come si vive qui, ed è scorbutica anche
quando fuori c’è dicembre che indossa giornate di sole.
sole sale mare ed io sto qua che non vedo passare più la notte! arrimina ‘ssi carti, e parrimi picca, ca ju
non ci staiu cchiù cu ttia. se ti
avessi lasciato, cara catania, un anno fa, forse ora sarei Giulia e un nuovo cognome,
di quelli presi in prestito dai mariti
“prestito”. signor giudice, io non rubbo più e non spaccio più e non cerco di fregare né lo stato né lei e la mafia, nessuno! e se mi incontrano per strada e mi dicono: bedda mi fai… io guardo dritta, non mi potete accusare neanche di rissa sono una donna irrispettabile e non vivo più la strada, troppo traffico, non vado più in città, non si respira! avete presente una qualche sant’Agata? precisa!
“prestito”. signor giudice, io non rubbo più e non spaccio più e non cerco di fregare né lo stato né lei e la mafia, nessuno! e se mi incontrano per strada e mi dicono: bedda mi fai… io guardo dritta, non mi potete accusare neanche di rissa sono una donna irrispettabile e non vivo più la strada, troppo traffico, non vado più in città, non si respira! avete presente una qualche sant’Agata? precisa!
solo che a me l’oro nessuno me lo porta, e nemmeno corvo sono più,
ed il seno me lo ha strappato a morsi la sentinella, l’anno scorso, quell’armadio
di lesbica milanese che voleva violentarmi, ma non mi intessa! certo, a volte
invidio le ragazze normali, ma accussì… appena ci penso seriamente, mi
dico: io, na vita normali na sacciu fari,
ca si non stiri, lavi e furrii tuttu u jornu appressu a iddu, non si
nuddu e tanto, la prima che gliela mette in faccia, la grazia, sarà sicuramente
una femme fatale! ma la fimmina sua,
nessuno, dico nessuno la deve commentare. na
sacciu fari na vita normali!
l’ultimo tentato omicidio se lo ricorda? cercai di ammazzarlo, non mi sappi teniri cchiu’, appena mi dissi:
va levati stu mussu tinciutu! signor
giudice! a me, Giulia, otto rapine armate a quindici anni, spaccio a diciassette
e oltraggio a pubblico ufficiale, solo perché dissi al capo di polizia che per
fargli da puttana era meglio chiamare sua sorella o sua zia che per un uomo
d’onore come don corallo ci vogliono donne di classe!
io con queste mani e candeggina, non so più maneggiare neanche una
pistola!
lo sapete meglio di me che mi rompo la schiena per lavarvi le
scale!
se fossi andata via avrei sicuramente trovato un qualche marito
nordico non come sti paisani ca ti dicunu
a me: Giulia cucina, porta stu
paccu e nan taliari cu ss’ occhi! con la mano che sembra ricordami quella
del secondo marito di una madre puttana.
dicono: perché non riesce a stare da sola.
ma io non lo sono, libera sì ma puttana mai.
e mia madre? non la lascio da sola, che di uomini non ne abbiamo
bisogno.
non rispondo alle accuse già scontante, cosa dovrei rispondervi
signor giudice? e di mille e mille giorni di firme e protocolli? mi accusate di
conoscere gente che conosce gente e io vivo all’ora con due euro da dividere ai
picciotti cu sta maliritta fini, che sto facendo, non la auguro a nessuno e
quei ragazzi, altri Giulia senza cognome, altri Tommasi o Bastianone, non devono
portare nemmeno un piccolo pacco, nemmeno un coltello, nemmeno un lingotto
svizzero e lavo scale per nove ore, a venti euro al giorno per portarne dieci a
casa e quando arrivano a cinquanta: tieni mamma, esci e mangiati del pesce, che
io digiuno ancora un po’, io, sula ci
criscii signor giudice, ma mia madre sola non ci può stare, è anche per
questo che mi dovete far uscire!
io non sono una Giulia qualunque, io sono più degli uomini e più
di tutte le donne e più di tutte le libertà: io sono le mie mani e candeggina.
sicuramente mentre io sono qui, fuori la gente si rallegra, i
vostri compari stanno tirando la somma per la vostra tredicesima ma io vi
chiedo, perché questa farsa proprio a Natale?
ah… la gente come me merita di stare qua dentro, capisco, ah… la
gente là fuori merita di essere tranquillizzata, e ridete di me che dite che
sono una gran signora?
una grande signora non l’avreste prelevata di notte, a me, con otto
volanti e umiliata senza lasciarmi allacciare il reggiseno. a casa mia dopo otto
mesi di candeggina e libertà vigilata solo perché una ruspa a portato via il
bancomat assicurato che vi darà soldi e nessuna accusa, io preferisco digiunare
niente pranzo speciale, niente ora di aria che c’è lo smog per me e per questa Catania, ed una provincia che non ho lasciato, io continuo a digiunare.
ch ‘ama a ffari, arriminativi sti
carti, quando nasci delinquente ricordati sempre
che è meglio, meglio di perdere tempo e studiare e studiare e prendersi una
laurea e una professione di merda come la vostra, che poi non avete le palle
per farvi lasciare in pace. ah, vi fregano le belle donne? signor giudice!
quelle sono balle! vi frega il fatto che scandalo con i trans non ne volete dare!
oltre che signora mi dite: ca
aiu a parrari picca? ma sparatemi pure, sparatemi sangue addosso, sparatemi
anche sulla tomba di mio padre, sparatemi, ca
aiu u sangu quagghiatu d’intra e mi resta poca speranza, ma non per me
medesima, io sarò sempre Giulia senza cognome, ma là fuori una terra affamata
divora aborti di luce e abbandona i figli suoi, lasciandoli in ginocchio sotto
i manganelli, mafia et lavora.
buon Natale a lei, e a tutti voi, uomini di legge e tirannie,
mentre molti di noi non avranno il diritto di festeggiare il Natale e mia madre
non imbandirà neanche quest’anno la tavola, e la vostra?
ah… in un ospizio… allora nessuno di noi dormirà sogni sicuri e abballa, u signuruzzu, nasci e abballa!
Ella Flaubert e Hdemia
Ella Flaubert e Hdemia
2 commenti:
Per comprendere la potenza artistica di Gisella Torrisi bisognerebbe leggere le sue opere, vederla in azione in qualche sceneggiatura da lei scritta, vedere i cortometraggi che ha sviluppato... che dire... Immensa. In un mondo fatto di mediocrità l'eccellenza crea terremoti. Gisella Torrisi è un terremoto artistico!
stordita da tanta bellezza... ritornerò per dirne, ora lascio alla mutezza l'incanto
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