di Sebastiano A. Patanè-Ferro

lunedì 8 agosto 2011

Fiorella D'Errico - poesie

work in progress





(da “La fatica del metallo”)


La fatica del metallo - 1

Dobbiamo amare la vita
perché non ha ragione di dolersene
sebbene sia dolore

come quando si piega anche il metallo
prima del taglio alla metà, nel corpo

esso non sa
quale potenza spezza un’anima di ferro



La fatica del metallo – 4

Devi essere lontano
perché ti arrivino le parole in differita
come da una fonte antica, echeggiata
da sentirne veramente il volo

così mi distingui
intorno e fuori la crudeltà del mondo
tangente mai toccata
- una piccola coda di suono.



La fatica del metallo – 9

Scrivo e mi stanco,
divento la sedia legata alla finestra.

Forse era già come adesso
tu che piegavi lo sguardo e questo senso
di eterno ritorno

quanto potrò ancora vivere
la stessa preziosità custodita -
come raccolta di schegge
dal vetro infranto

Stiamo così, immoti
alla bellezza posta nelle mani unite
bagliore di uno stelo

perché scrivere sia buono per la pace
con le gambe piegate sotto il cuore vivo
a tracciare vocali

un adorno di vento, fugace



(da “Lettere dal ventre”)


Lettere dal ventre (9)

C’erano labbra su quelle scale,
gli angoli avevano il volto di chi va via
o torna.
Non è mia l’ombra
che inghiotte pareti impastate con le voci
delle nostre carni.

Guarda: scava l’incavo
e mi culla pensare a te come il buio
nella caverna accesa.

Amore
il ventre mi chiudi a ricordo del tuo odore.



Lettere dal ventre (15)

Non c’è nulla di vero nello spessore dei muri
nelle volute di fumo dai volti.
E se spoglio il letto tenendo le pieghe
sento ancora le ombre.

Un ventre di battaglia questo giorno, eppure
mischio te ai resti delle cose. E tu mi guardi, dalla parete
tornano le prime voci: le infilo con cura nei cassetti
dove dormono sereni i ricordi.

Ora avremo pietà di noi, contando i morti.



(da “Architetture”)


Architetture (4)

Porta il peso, se puoi
covare le ferite
come fosse un viaggio a lato,
fra angoli di vento
nessuna pietra vedrai
che cada pietosa dai fianchi
delle linee che tu stesso hai tracciato.
Ripieghi i veli, cospargi di sale le palpebre:
pure, il ricordo cresce come una malapianta
senz’acqua né terra,
come il bianco incorrotto dei muri
nelle stanze lasciate vuote.


Architetture (7)

Copro gli occhi
posso sentire il dolore
lungo le navate
dal mare bianco delle vittime
dall’altare
come le macchie nei prati scuri

(tutto fu costruito per abbatterlo
questa la nenia cantata a sera, piano)


Architetture (9)

Dall’arco limpido
verso le vetrate
qualcosa del mare è trascorso

sorveglia i muri
al fianco del percorso scorri il greto
che l’acqua scava fino al volto
nascosto, più segreto
dell’inverno appena morto

dove nasce la radice erosa
oggi il sole riconosce il suo posto

3 commenti:

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Caro e gentile Sebastiano, vedo che questo post ha una data di tre mesi fa ma solo adesso lo incontro nella navigazione. Ne sono felice e lusingata, e ti ringrazio per la tua attenzione.

Anonimo ha detto...

Ombra inghiottita
da pareti impastate
di voce e carne
uno specchio
che odora di sussurro

un caro saluto Fiorella

mm

Anonimo ha detto...
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